lunedì 22 aprile 2024

Specchi d'acqua - 4

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non è una serie di dipinti, stavolta, l'oggetto della mia osservazione, ma un corso d'acqua che, al pari di tanti altri, si snoda dalla sorgente alla foce, dando luogo a panorami e spettacoli dove prima la natura e poi l'uomo sono protagonisti.
Sto parlando della Moldava, fiume della Repubblica Ceca famoso non solo perchè attraversa la città di Praga, ma anche perchè
è stato celebrato da Bedřich Smetana (1824 - 1884) in "Ma Vlast" (La mia patria). 

L'opera si compone di sei poemi sinfonici dedicati a luoghi, storie e leggende della tradizione boema. Di questi, il più conosciuto è proprio quello che descrive la Moldava ("Vltava") attraverso vari momenti che corrispondono a ciò che si può vedere lungo il suo corso: le sorgenti, il fiume in pianura, scene di caccia, nozze di contadini, danze al chiaro di luna, le rapide di San Giovanni, il castello di Vyšehrad e l'ngresso a Praga.

Un pezzo di musica a programma, dunque, che è stato spesso ampiamente analizzato. Per questo intendo soffermarmi solo su pochi aspetti che tuttavia mi affascinano da sempre. Si tratta infatti di un brano che amo da tempo tanto che è stato tra i primi pubblicati in questo blog. Ma lo ripropongo con gioia anche perchè, anni fa, vi avevo dedicato poco spazio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il primo aspetto incantevole è proprio l'inizio. Qui Smetana ricrea con delicatezza e precisione la sorgente della Moldava, che nasce all'interno della foresta boema da due rami che poi confluiscono. Lo sentiamo subito dall'esordio del flauto seguito dal clarinetto che vi si sovrappone dopo quindici battute. È una melodia lieve dal timbro leggero, un'incantevole armonia imitativa dove gli strumenti musicali riproducono il suono sottile dei rivoli d'acqua che scendono e s'intrecciano qua e là, saltellando tra piante e sassi come ruscelli di montagna.

Il movimento si fa gradatamente più acceso mentre, dopo i pizzicati iniziali, gli archi vanno a creare un sottofondo sommesso ma continuo. È la preparazione al momento in cui, sceso ormai dai monti, il fiume si dirige verso il piano in un alveo più aperto e con un ritmo più tranquillo e regolare.
Inizia qui il celebre tema che percorre tutto il brano, una malinconica e intensa melodia in mi minore che
tanta fortuna avrà nel tempo: si mi  fa# sol  la si  si  si do  do  si...si la  la  la sol fa# sol  sol fa# fa#  fa#mi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una melodia prima ascendente e poi discendente, ma è su quel do che indugia, si allarga, si apre e s'illumina. Un'aria che sembra talora ripetersi tornando su se stessa, ma che è ricca di movimento e intensità proprio come descrivesse un un percorso o raccontasse una storia. Sono note che sembrano seguire le anse del fiume nella loro ombra discreta, così come nella luce improvvisa e balenante di un andamento che inizia in tonalità minore, si rischiara su quel do e torna di nuovo pervaso di malinconia.

Una frase musicale che è quasi una sorta di nenia e ha origini lontane.
Pare infatti che Smetana si sia ispirato alla
canzone popolare di un anonimo del XVI secolo - o forse Giuseppino del Biado - intitolato "Fuggi  fuggi", conosciuta anche come "Il ballo di Mantova".

Del resto, è un motivo cantabile che avrà seguito anche in futuro tanto che lo ritroviamo in contesti molto diversi. Basti pensare all'esordio nella famosa canzone napoletana "Fenesta ca lucive", poi al tema dell'inno nazionale israeliano e addirittura a un ambito che forse non ci aspetteremmo: quello del pop degli anni Sessanta. Ricordate - parlo ai meno giovani - la canzone "Nessuno mi può giudicare" resa celebre da Caterina Caselli? Quella!

Ma torno a Smetana per sottolineare altri spunti che testimoniano la varietà del brano. Il primo è l'uso di svariate forme musicali, dalla polka alla marcia, a indicare le danze o il castello di Vyšehrad. Efficacissima anche la descrizione delle rapide di san Giovanni dove l'andamento orchestrale si fa turbinoso e sembra imitare le onde movimentate e impetuose che interrompono il placido corso del fiume.
In tutto lo sviluppo del pezzo troviamo poi un'armonia imitativa per cui ora Smetana si
avvale dell'arpa, ora dell'ottavino, ora della potenza degli ottoni nel riprodurre il moto tranquillo o quello più spumeggiante delle acque. E così pure usa tempi diversi: dai 6/8 ai 2/4, ai 4/4 per tornare di nuovo ai 6/8.
Ne derivano quadri musicali che - come in tante altre composizioni descrittive - sollecitano più che mai la nostra immaginazione consentendoci non solo di ascoltare, ma insieme di vedere ciò che le note illustrano ed evocano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma il pezzo a mio avviso più affascinante, a fronte della delicatezza dell'esordio, è proprio la conclusione che descrive il corso del fiume ormai ricco di acque in tutta la sua ampiezza. È sempre il tema iniziale a ritornare, ma coniugato in modo diverso: non più malinconico, bensì maestoso e solenne, veloce e festante, ricco di una gioia messa in chiara evidenza dalla tonalità che passa in Mi maggiore.
C'è qualcosa di trionfale nell'atmosfera di questa musica che raggiunge qui il suo
acme in una sorta di inno alla vita, prima di tornare a farsi più sommessa nella parte che precede i due forti accordi finali. Un brano che è quasi una parabola dell'esistenza dalle origini fino alla conclusione del viaggio, quando il moto ondoso va piano a svanire e il fiume disperde le sue acque nell'Elba.

E a proposito di vita - oltre al fatto che lo spunto per il poema è venuto a Smetana proprio da una navigazione sulla Moldava - mi sembra significativo ricordare che la composizione dei vari brani è stata segnata dall'improvvisa sordità del musicista. Viene spontaneo pensare a Beethoven che ha vissuto la stessa dolorosa esperienza, e provare meraviglia per la stupefacente capacità di entrambi di percepire - ormai totalmente interiorizzati - accordi, note, armonie, consonanze, timbri, modulazioni che l'orecchio non poteva più sentire.
E come Beethoven nella Sinfonia Pastorale ha riprodotto i suoni della natura campestre,
così qui Smetana ci ha restituito mirabilmente l'intero splendore del corso di un fiume.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

domenica 14 aprile 2024

Un grintosissimo Galliano

Non ho l'abitudine di rileggere i miei vecchi post, non spesso perlomeno. Una volta fatti, li abbandono al loro destino e se talora ci torno, in genere non è per il testo, ma per qualche riferimento alla musica.

Capita così che mi prendano momenti di improvvisa nostalgia per i pezzi che da tanto non ascolto o per qualche autore che non pubblico da tempo e che magari torna di punto in bianco ad affacciarsi alla mia memoria, sgomitando nel nutrito elenco di compositori del blog quasi dicesse: "Insomma...mi hai dimenticato?".

Insomma...l'altro giorno è successo proprio questo. Per uno di quei salti d'epoca che forse solo la musica consente, mentre ero immersa nell'ascolto di Haydn mi è tornato in mente un brano così diverso che più non si può!
Era un pezzo di Astor Piazzolla postato anni fa in una entusiasmante interpretazione dei Classical Jam
che, stavolta sì!, mi sono incantata a risentire. Eccola qua!
Ma da Piazzolla sono passata poi ad altri fisarmonicisti: così non è stato
difficile tornare al mio amatissimo Richard Galliano riascoltandone svariati pezzi fino ad approdare a quello di oggi. Cercavo infatti qualcosa che mi ricordasse l'atmosfera dei Classical Jam, la loro coesione e il loro gusto di far musica insieme, e ho ritrovato lo stesso clima in "Tango pour Claude" dall'album "Viaggio" uscito nel 1993.

Si tratta di un brano dedicato da Galliano al cantante francese Claude Nougaro col quale aveva lavorato. Ma ciò che rende questo pezzo grintosissimo e accattivante è, a mio avviso, un insieme di elementi diversi.
In primo luogo la bravura del compositore e il virtuosismo con cui
padroneggia la fisarmonica che ha sempre valorizzato ampliandone il repertorio in una sintesi di vari linguaggi musicali.
Quello che mi colpisce, infatti, è proprio l'insieme di naturalezza da un lato e
spregiudicata maestrìa dall'altro con cui, dalle varie voci che rendono lo strumento così versatile, Galliano trae armonie e sonorità di ieri e di oggi, dal classico al jazz, dallo swing alla danza. Nel suo pezzo sentiamo così riecheggiare non solo il Piazzolla di "Libertango", ma insieme Bach, compositore tra i più amati sulle cui note il compositore si è formato.

Ma è anche la movimentata e scattante ritmica del tango a prendere chi ascolta nel vortice di musica fatto da una sorta di parossistico, irrefrenabile crescendo. E altrettanto grintosa è l'interpretazione del sestetto tra cui spicca il violino di Sebastien Surel, che duetta splendidamente con Galliano nella serie di entusiasmanti variazioni sul tema.
Accattivante, del resto, è la passione che coinvolge tutti i componenti del gruppo
trasmettendosi anche noi che - dietro lo schermo di un computer - non solo guardiamo e ascoltiamo, ma vibriamo entrando per così dire in risonanza con questa musica, attraversati anche fisicamente dalla vitalità della sue note.

E mi piace concludere con le parole del compositore in un'intervista di Chiara Donizelli per "L'Eco di Bergamo". Alla domanda se per lui esiste un punto di contaminazione universale nei diversi generi musicali che ha attraversato, Galliano risponde:

"La prima cosa è sempre l’amore. Per la musica, per le cose belle, per ciò che fa vibrare. Per ogni stile, deve esserci alla base un amore per le armonie, le melodie e il tempo. Quando suono Mozart, o Vivaldi, io penso sempre allo swing, alla danza. Posso suonare una valse parisienne, ma per il tempo, il ritmo, io penserò all’Africa. La vibrazione è ciò che ha di universale la musica, ciò che durante i concerti si estende dai musicisti fino al pubblico. Non ultime, le emozioni che la musica ha la forza di comunicare e di scatenare."

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

domenica 7 aprile 2024

Un caffè con Haydn

È possibile diventare amici senza conoscersi?
Intendo dire senza essersi mai visti,
 incontrati e parlati neppure dietro lo schermo di un computer dove - in realtà - possono nascere schiette amicizie sulla scorta di affinità di gusti, storie personali e via dicendo.
Si può?...
E se tra noi e l'altra persona ci fossero di mezzo dei secoli,
potrebbe sussistere ugualmente un rapporto tale da essere definito amicizia o almeno da somigliarle?

Se pensiamo alla passione che sanno suscitare in noi artisti, letterati, filosofi e tante figure del passato conosciute magari sui banchi di scuola e delle quali poi abbiamo approfondito la conoscenza e sperimentato l'aiuto, la risposta è sicuramente positiva. Al loro pensiero o al loro genio abbiamo attinto per nutrirci fino a stabilire talora una familiarità che ce le ha rese vicine. E se da un lato manca quella dimensione di quotidianità per cui non possiamo scambiarci un sorriso o incontrarci a bere un caffè, dall'altro è nato ugualmente un rapporto significativo. Magari non proprio paragonabile in tutto e per tutto all'amicizia; tuttavia profondo, duraturo e in certi casi anche più grande dell'amicizia stessa.

Ho in mente per esempio il Machiavelli che, nella lettera del 10 dicembre 1513 a Francesco Vettori, raccontando i passatempi con cui occupa le giornate mentre si trova al confino, parla dei momenti serali in cui si dedica allo studio delle opere dei grandi del passato. Parole celebri quanto commoventi che riporto qui:

"Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro."

Un domandare e un rispondere, quello di cui parla il Machiavelli, un dialogare che è frutto splendido della cultura intesa prima di tutto come incontro - "tutto mi transferisco in loro" - capace di superare il tempo e offrire ristoro alla mente e all'anima. Ma ciò che vale per la poesia, la filosofia o la scienza si verifica anche con la musica che, in modo ancor più immediato delle parole, nutre il nostro cuore con la multiforme bellezza delle note. Scatta così con i musicisti più amati una familiarità capace di oltrepassare i secoli e accompagnarci nelle vicende quotidiane. 

Tutto questo discorsino per arrivare a un autore che qui conoscete da tempo, ma che io ho scoperto da adulta, ritrovandolo sul mio cammino in alcuni particolari momenti. Parlo di Franz Joseph Haydn (1732 - 1809).
In gioventù, avevo ascoltato poco di lui: i movimenti più celebri di due sinfonie - "La
pendola" e "La sorpresa" - delle 104 (!) che ha scritto; e in seguito il toccante Poco adagio, cantabile del "Kaiserquartett", affascinante tema con variazioni diventato poi l'inno nazionale tedesco. Ma il bello della mia passione per Haydn doveva ancora arrivare.

Ero nel Duomo di Salisburgo anni dopo, quando ho sentito per la prima volta la sua "Mariazellermesse" : un ascolto a sorpresa perchè ero entrata per la Messa domenicale senza sapere che coincideva col concerto conclusivo del celebre festival della città. Nella chiesa gremita all'inverosimile avevo trovato posto solo sui gradini di una cappella laterale e lì le note del compositore, cantate da due corali, mi avevano preso fino alla commozione. Tornata a casa, avevo cercato il cd - youtube non esisteva ancora - ma il brano era in ristampa e avevo dovuto aspettare a lungo. Poi, quando finalmente è uscito, mi è parso di entrare in possesso di un tesoro.

Diverso tempo dopo, gli oratori "La Creazione" e "Le Stagioni" mi hanno fatto compagnia in un periodo difficile. Li ascoltavo alle sette del mattino, nei 40 minuti di pullman che separavano casa mia, dove avevo familiari malati, dal posto di lavoro. Salivo, mi sedevo, infilavo gli auricolari del walkman e partivo per un viaggio rigenerante in cui i brani di Haydn - ora grandiosi, ora più intimi - mi portavano altrove risanandomi interiormente.
Era stata una vera e propria musicoterapia, come se quelle note
avessero saputo ancor prima di me di che cosa avevo bisogno. Mi pareva infatti di riceverne non solo serenità interiore, ma insieme benessere fisico.
Come non esserne grata, allora, e non avvertire la vicinanza del compositore che
  entrava così nei gesti della mia quotidianità sostanziandola di rinnovata energia?
Gesti di ogni giorno sì, come la vita ordinaria che Haydn ha descritto in certe
sinfonie e che si evince da alcuni titoli quali: Il maestro di scuola, La gallina, Il fuoco, Il mattino, Il mezzogiorno, La sera, La caccia, La pendola, Gli addii, La sorpresa... tranquilli, mi fermo!

Allora oggi, in sintonia con quella quotidianità che ci vede all'inizio della primavera e apre le nostre giornate alla luce, mi piace condividere il primo movimento, Adagio-Allegro, della "Sinfonia n.6 in Re maggiore" detta "Le matin". Il suo esordio infatti ha proprio la luminosità del mattino e mi colpisce per due aspetti.
Il primo è l'introduzione che, dal pianissimo iniziale, raggiunge toni sempre più
grandiosi paragonabili al sorgere del sole, come accadrà poi in modo più articolato e maestoso nel brano di apertura de "La Creazione" dove dal caos appare la luce. Il secondo è l'attacco del flauto che, seguito dalla pronta risposta dell'oboe, sembra riprodurre il cinguettìo degli uccelli.

Poi il pezzo prosegue con freschezza primaverile e con quel garbo festoso tipico di tanta musica settecentesca, sviluppandosi intorno a un tema che riecheggerà in futuro in due sinfonie di Beethoven che tra i suoi maestri ha avuto anche Haydn. Ascoltate la melodia che esordisce a 1.05 dall'inizio e va poi ripetendosi in un energico Re maggiore: re la - fa re la...
Vi ricorda qualcosa? In una tonalità diversa e in un clima non così leggero come quello
di Haydn, a me vengono in mente due riferimenti. Il primo è il tema iniziale dell'Eroica, e qui i sacri testi di musica mi danno ragione; il secondo è l'aria su cui è costruito l'ultimo movimento della Pastorale. Qui i sacri testi tacciono: in effetti sono ritmi differenti, ma la somiglianza io la sento lo stesso.
E a proposito della vicinanza del compositore alla nostra vita, mi piace concludere
ricordando le considerazioni scritte da Haydn in una lettera:

"Spesso, quando sono in lotta con ostacoli di ogni genere, quando le forze declinano e mi è divenuto difficile perseverare nella via intrapresa, un sentimento segreto mi sussurra: vi sono quaggiù così pochi uomini lieti e contenti, dappertutto è dolore e angoscia; forse il tuo lavoro potrà essere qualche volta una fonte alla quale chi è oppresso dall'angoscia possa attingere per un istante un sollievo".  

Bella l'intenzione di intrecciare la sua musica all'esistenza di chi ascolta per dare sollievo! Proprio come un amico dal quale si riceve conforto in un momento di pausa, magari davanti a una tazzina di caffè.

Buon ascolto!

(La foto è mia, perchè oggi offro io!)

 

domenica 31 marzo 2024

Buona Pasqua !

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Duccio di Buoninsegna (1255 - 1319ca) : "Noli me tangere" - Siena, Museo dell'Opera del Duomo.

 

Johann Sebastian Bach (1685 - 1750) : Cantata "Singet dem Herrn ein neues Lied" BWV 190 - Coro iniziale.

venerdì 29 marzo 2024

Venerdì Santo


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giovanni Bellini (1430 - 1516) : "Compianto sul Cristo morto" (particolare) - Roma, Musei Vaticani.

 

 Karl Jenkins (n.1944) : "Fac ut portem Christi mortem" dallo "Stabat Mater".

venerdì 22 marzo 2024

Specchi d'acqua - 3

Masolino da Panicale  : "Battesimo di Cristo" - Castiglione Olona
Nella carrellata di opere nelle quali - dal Medioevo in poi - i vari pittori hanno raffigurato degli specchi d'acqua riportando i tratti di un evento o all'interno di una descrizione di paesaggio, non possono mancare i fiumi. E come già ricordavo il mese scorso, è in particolare il Giordano ad essere stato rappresentato nei numerosi dipinti del "Battesimo di Cristo" che troviamo  soprattutto nei periodi in cui i temi pittorici erano in gran parte religiosi, anche se non manca qualche esempio più vicino a noi.
L'argomento infatti ricorre spesso nella pittura del passato, anche se in diverse opere il fiume non è
in evidenza con quella chiarezza che consente di coglierne caratteri e suggerire confronti con altri artisti. Per questo, tralascerò autori anche molto importanti quali Verrocchio, Leonardo, Raffaello, Lorenzo Lotto, Mantegna, El Greco e altri ancora, limitandomi a una breve carrellata delle opere che mi sono parse più idonee a far risaltare alcune differenze.

Anonimo del XIII sec. : "Battesimo di Cristo", Basilica di San Marco - Venezia













Consideriamo prima di tutto che la raffigurazione di uno specchio d'acqua è legata a quella del paesaggio. Come questo muta nel tempo non solo per i tratti più o meno naturalistici o fantasiosi, morbidi o stilizzati con cui è riprodotto, ma insieme per lo spazio che ad esso è dato nelle varie opere, così è anche di un corso d'acqua.
Lo dimostra uno dei più antichi esempi di "Battesimo di Cristo": il mosaico del XIII
secolo riportato qui sopra di un Anonimo del XIII secolo.
La stessa schematicità fantasiosa ed essenziale che troviamo nella raffigurazione
delle montagne e degli alberi è anche nelle onde del fiume: strisce sinuose e oblique nelle quali sono visibili i pesci oltre che una figura umana. Una schematicità tuttavia affascinante che, insieme al fondo oro, può ricordare le icone bizantine. 

Diversa nei tratti, seppure ancora in parte inverosimile, la rappresentazione delle onde nell'affresco dei primi del Quattrocento che vedete qui a lato e che ho già riportato altrove: opera attribuita al Maestro di San Bassiano e conservata nella chiesa di San Francesco a Lodi.
Ma tali esempi saranno superati ben presto da un'
iconografia ispirata ad un più marcato realismo e alla capacità di rendere le linee con tratti più plastici e sfumati.

Interessante fase di passaggio tra questi modi differenti di riprodurre il mondo delle acque, è costituita dalle opere di due pittori che - per quanto siano vissuti a un secolo di distanza - hanno trattato il tema del Battesimo con caratteri per certi aspetti simili: Giotto (1267 - 1337) e Masolino da Panicale (1383 - 1440).

Il fiume in entrambi i dipinti - quello di Giotto in un dettaglio qui a lato e quello di Masolino in grande in alto - è una distesa di onde verdi dalle quali traspare il corpo di Gesù che vi è parzialmente immerso.
Tratti senza dubbio più realistici, così come
l'impostazione prospettica che - per quanto approssimativa e ancora lontana dai calcoli matematici del pieno Quattrocento - ha comunque una sua efficacia.
Lo vediamo in particolare nell'opera di Masolino dove
è proprio il Giordano a segnare la profondità col suo andamento un po' sinuoso che si delinea dietro la vera e propria scena del Battesimo.

Tuttavia, la rivoluzione più significativa avviene con Piero della Francesca (1412ca. - 1492) al quale si ispireranno poi numerosi artisti rinascimentali.

Piero della Francesca: "Battesimo di Cristo" (part.) - Londra, National Gallery

Nella sua celebre tavola, l'acqua è davvero uno specchio e - se ci fate caso - l'ansa del Giordano riflette con grande limpidezza il cielo chiaro, le nuvole, la vegetazione e il colore vivace degli abiti di alcuni personaggi in secondo piano.
Un altro mondo rispetto al passato: un mondo fatto di
immobilità, compostezza e toni delicati che caratterizzano tutte le figure del dipinto, come si può osservare nell'immagine qui a lato.

Successivamente, numerosi altri pittori hanno rappresentato il fiume seguendo la stessa iconografia, ma conferendo al tratto pittorico morbidezza e plasticismo via via sempre maggiori.
Osserviamo qui sotto il particolare del "Battesimo di Cristo" del Perugino (1446 - 1523) e poi la foto dell'intero dipinto. 

Perugino: "Battesimo di Cristo"  (part.) - Kunsthistorisches Museum, Vienna

Se il dettaglio mette in luce la trasparenza dell'acqua e una rappresentazione sempre più realistica del fiume insieme alla vegetazione sulle sue sponde, vista nella sua interezza la tavola mostra tutta la lunghezza del Giordano col suo andamento sinuoso che diventa elemento portante del paesaggio segnando con molta verosimiglianza la prospettiva. 

La medesima caratteristica si può riscontrare anche nell'opera realizzata sempre dal Perugino sullo stesso tema e conservata nella Cappella Sistina in Vaticano, della quale ho riportato qui sotto un dettaglio della parte centrale.
Sono visibili distintamente le anse chiare e
serpeggianti del fiume che l'artista ha disegnato fino in fondo, a individuare la vastità di un panorama sempre più ricco di figure, edifici e vegetazione.

Proprio come scrivevo sopra, la rappresentazione dell'acqua si inquadra in quella del paesaggio che, col passare del tempo, non è più solo elemento secondario e accessorio, ma spazio al quale viene riservata sempre maggiore ampiezza.

Lo dimostrano i due dipinti successivi nei quali è evidente l'inversione di tendenza che si verifica nel rapporto tra figura umana e natura circostante. Se infatti nel Medioevo quest'ultima faceva solo da cornice, sia pure splendida, al tema rappresentato, col tempo essa prenderà sempre più spazio arricchendosi di affascinanti particolari. Saranno paesi, castelli, boschi e sull'acqua imbarcazioni o animali che talora - al di là di alcuni elementi di valore simbolico - poco hanno a che vedere con l'argomento del quadro, ma molto con la volontà di una riproduzione realistica dell'ambiente. Senza contare poi il fatto che, spesso, tale ambiente non è quello della Palestina, ma si ispira alla morfologia delle regioni di origine dei diversi artisti.

Maestro dell'Adorazione di Groote: "Battesimo di Cristo" - Collezione della Banca d'Italia  
 
Lo si osserva bene, a mio avviso, nella tavola che vedete qui sopra, attribuita al cosiddetto Maestro dell'Adorazione di Groote, artista fiammingo che opera agli inizi del Cinquecento. Qui, il rapporto tra figure umane e paesaggio è completamente capovolto rispetto al passato, e in mezzo a un panorama montuoso ampio e variato, tali figure risultano molto più piccole. Il fiume poi è un incantevole specchio d'acqua che disegna con grazia l'andamento del paesaggio, riflettendone le tinte giocate su sfumature di verde ora chiaro, ora più cupo. Non mancano inoltre splendidi particolari come nel dettaglio qui a lato: una felce che cresce sulla riva e due anatrelle che nuotano tranquille. 
Altrettanto significativo il quadro che vedete qui accanto. Si tratta del "Battesimo di Cristo" di Cima da Conegliano (1459 - 1517), conservato nella chiesa di San Giovanni in Bragora a Venezia e costruito con la stessa iconografia di tante opere coeve in cui la ricca natura circostante è raffigurata in una morbida atmosfera di serenità. Ma tale serenità tipicamente rinascimentale lascerà presto il posto a un clima pittorico molto differente, per svariati fattori tra i quali la diversa concezione della luce che si affermerà da Caravaggio in poi. Tuttavia prima ancora di lui, i mutamenti in atto sono già evidenti nel quadro riportato qui di seguito: il "Battesimo di Cristo" del Tintoretto (1518 - 1594) conservato a Venezia presso la Scuola Grande di San Rocco.
Ciò che colpisce è la grande drammaticità con cui è trattato il tema, una drammaticità che sembra quasi preludere alla Passione e che si riflette anche sull'ambiente e sulla rappresentazione del fiume. Le onde - a ben guardare molto realistiche - compaiono infatti dal buio per fugaci e improvvisi bagliori, in un clima fumoso e onirico che caratterizza diverse altre opere dell'artista. Ma sono soprattutto i forti contrasti luministici e le tinte scure e qua e là rossastre della composizione a conferire una patina di tragicità a quello che dovrebbe essere invece un evento gioioso.  
 
E per passare finalmente alla musica, ho preferito ispirarmi alla serenità dei dipinti precedenti scegliendo un pezzo di Franz Joseph Haydn (1732 - 1809) : il "Largo cantabile" dal "Concerto per pianoforte in Fa Maggiore n.3 Hob XVIII". 
Mi sono presa la briga - come del resto faccio spesso - di andare a vederne sul web la partitura: un modo - per così dire - di guardare negli occhi il brano osservandone tempo, dinamiche, abbellimenti e organico orchestrale. 
Così ho scoperto una composizione dalla scrittura nitidissima, di una chiarezza quasi mozartiana. E in effetti alcuni passaggi possono essere proprio assimilati a quelli del genio di Salisburgo. 
Originale l'introduzione che si apre su di una delicata melodia del violino solista. Di conseguenza sorprende - subito dopo - l'esordio del pianoforte che riprende la stessa melodia dolcemente ritmata e arricchita, qua e là, da una serie di trilli e abbellimenti. Sono proprio questi a condurci in un'atmosfera che sembra quasi imitare la scorrevolezza fluida dell'acqua, fatta di sonorità liquide e luminose in una sorta di affascinante sinestesia che ci cattura con garbo.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)

giovedì 14 marzo 2024

A proposito di divertimento

Il web mi riserva sempre delle sorprese, e le mie frequenti scorribande su youtube ogni volta si rivelano ampiamente fruttuose.
Così, stante il fatto che nel pubblicare musica
non seguo un ordine cronologico, ma quello dell'umore, del tempo, della passione per tanti brani compresi quelli che cerco di suonicchiare, oggi mi ritrovo con vari pezzi di autori diversi - come dico spesso - in gioiosa lista d'attesa.
Da Bach a Rachmaninov, da Vivaldi a Mozart e
- perchè no? - ancora a Scarlatti, la provvista che mi attende è molto nutrita.

Bene. Complice il ritorno di un sole già primaverile dopo le piogge torrenziali dei giorni scorsi, oggi ho voglia di leggerezza. Così nella mia riserva di pezzi ho scelto un bel Divertimento di Mozart.
Sul significato di questo termine in ambito musicale credo di aver già fatto qualche cenno altrove
. Si tratta di un genere molto in voga nel Settecento, composto da una sequenza di movimenti diversi, spesso scritti per celebrare svariate ricorrenze, talora eseguiti all'aperto o durante un banchetto e improntati quindi a un clima di festosa leggerezza.

Una parola interessante divertimento, non solo nel suo significato di svago e distrazione, ma soprattutto per la sua etimologia che - dal latino divertere o devertere - indica un volgersi altrove, cambiando direzione o argomento o atmosfera o tono. E mi sembra proprio adatta a definire la successione di movimenti - tra loro, appunto, diversi - che compongono questo genere musicale come Allegro, Andante, Adagio, Minuetto, Trio, Rondò, Presto, solo per citarne alcuni.

Quando ancora andavo a scuola ma ero già - diciamo così - dall'altra parte della barricata, ogni tanto ai miei alunni che si lamentavano di una mattinata pesante dicevo che passare da una lezione di italiano a una di matematica, poi a scienze, a chimica o inglese, non era altro che...divertimento! Esattamente quel de-vertere, che distoglie l'attenzione da un argomento volgendo la mente ad altro oggetto, come recita nientemeno che la Treccani!
A dire il vero, qualcuno di loro mi guardava male...e per certi aspetti lo posso capire. Però sapevano che il mio era un
modo di alleggerire la lezione col sorriso, anche se quella che poteva sembrare una battuta in realtà non lo era.

Bene. Chiedo scusa per la diversione e torno subito al brano che è lo splendido "Allegro di molto" dal "Divertimento per archi n.2 in Si bemolle Maggiore K.137" di un Mozart appena sedicenne.
Il brano esordisce fondendo una vivacità spumeggiante a quella gioiosa e giocosa
freschezza trasfusa dal compositore nelle prime sinfonie che aveva iniziato a scrivere a otto anni!!!
Certo, questo è un pezzo d'intrattenimento dalla vena un po' salottiera e non vi
possiamo cercare lo spessore drammatico o l'intensità di altre successive creazioni. Tuttavia, quando si parla di un genio come Mozart, per quanto nel suo itinerario musicale si possano ravvisare le fasi di un cammino verso la maturità artistica, mi sembra sempre difficile classificare i brani giovanili come frutto di un'ispirazione ancora acerba. Ci sono pezzi scritti dal musicista appena diciannovenne che possono essere considerati veri e propri capolavori: basti pensare, solo per fare qualche esempio, ai Concerti per violino K.218 e K.219!
A volte la giovinezza, con le sue speranze e il suo sguardo rivolto al futuro, offre
ventate di leggerezza e cristalline trasparenze di straordinario splendore e, se pure nel trascorrere del tempo l'ispirazione si approfondisce, queste restano come una sorta di luminoso prodigio.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

 

venerdì 8 marzo 2024

Fantasticando un po'...

Come vedete, sono ancora in compagnia di Domenico Scarlatti ed è una settimana che giro intorno alle sue Sonate, anche se sarebbe più corretto dire che sono loro a girarmi in testa sovrapponendosi liberamente ai miei pensieri.
Il fatto è che questo complesso di ben 555
brani ha tale ricchezza e originalità sia sul piano dell'inventiva che su quello degli espedienti tecnici che, ogni volta che ne ascolto qualcuno, mi vengono in mente i riferimenti più disparati. 

Il primo naturalmente è Bach e non solo per la contemporaneità dei due compositori, ma perchè nei pezzi scarlattiani risuona spesso l'eco delle fughe, delle progressioni o di quelle strutture polifoniche di cui il musicista tedesco è stato indiscusso maestro.
Ma non è tutto. Se mi si consente un'affermazione azzardata, l'intero corpus delle Sonate mi ha
fatto pensare a due celeberrimi lavori bachiani fatti di pezzi diversi ordinati in meravigliosa unità: il Clavicembalo ben temperato e le Variazioni Goldberg.
Non oso andare oltre stabilendo paragoni più precisi perchè non ne ho le competenze e poi
perchè - come scrivevo sopra - forse l'idea è davvero un po' eccessiva: sia le Goldberg che il Clavicembalo ben temperato, infatti, presentano un impianto organico, una coesione e una simmetria pensate con programmazione matematica da un genio musicale unico al mondo.

Tuttavia, per quanto la fantasia scarlattiana si sia sbrigliata più liberamente rispetto a Bach esprimendo spesso tutta la bizzarria del tardo-barocco, ascoltando le Sonate mi viene comunque spontaneo pensare anche qui a un complesso non privo di una sua organicità. E se poco appropriato potrebbe essere il riferimento alle Goldberg, forse più adatto può rivelarsi quello al Clavicembalo ben temperato che Bach aveva composto in precedenza a scopo didattico, come sarà poi delle Sonate del compositore napoletano, pubblicate - almeno in parte - proprio come esercizi.

Ma il pensiero non va solo a Bach. Oltre a Zipoli che citavo la volta scorsa, l'ascolto mi suggerisce anche altri autori. Così oggi, sempre di Scarlatti vi regalo ancora due pezzi a mio avviso interessanti.
Avevo pensato in un primo tempo di tornare a un vecchio amore: la mitica Sonata
K.27 che ho già pubblicato tanti anni fa e che per me è tra le più affascinanti; ma proprio per questo merita un post a parte. Così, ho scelto due brani che, nonostante siano tecnicamente più facili, esigono però un'attenta interpretazione per fiorire in tutto il loro splendore.

Il primo è la "Sonata in La Maggiore K.208" che il compositore ha scritto, come le altre, durante il suo soggiorno in Spagna. I musicologi parlano di un'armonia dall'andamento talora inatteso che supera gli schemi della tradizione e qualcuno pensa proprio all'influsso della musica iberica.
Può anche darsi ma, ad essere sincera...io ci sento Vivaldi!

Appena ho iniziato ad ascoltarla, mi è parso infatti di immergermi nella magica atmosfera d
i certi pezzi lenti vivaldiani. L'indicazione è "Adagio e cantabile" e se provate a immaginare questa melodia trascritta per archi, sentite un brano dove il basso ritma e scandisce le note con splendida misura, mentre il violino ci regala un'aria ricca di dolcezza ed eleganza. Naturalmente sto fantasticando perchè non mi pare esista una versione per archi. Ce ne sono invece per chitarra o arpa dalle quali emerge soprattutto la nitidezza della composizione. Ma anche così, per pianoforte solo, la trovo di una meraviglia assoluta.

Diversa la "Sonata in Do Maggiore K.95" in apparenza lontana dallo stile scarlattiano e della quale esistono interpretazioni diametralmente opposte: alcune per clavicembalo a mio avviso troppo veloci, per quanto ritmate e ricche di abbellimenti; altre invece per pianoforte molto più lente, scorrevoli e oserei dire riposanti. Ho scelto così una di queste ultime le cui battute iniziali mi riportano nientemeno che a Mozart e ad Haydn: a Mozart per un'ombra di somiglianza con l'esordio della celebre Aria di Papageno dal "Flauto magico"; e ad Haydn per il ritmo ternario del tema che mi ricorda lo splendido Duetto di Adamo ed Eva dall'oratorio "La Creazione".

Sto fantasticando ancora certo, e non ho prove che tali riferimenti siano corretti se non il mio sgangherato orecchio musicale dove le melodie s'intrecciano a modo loro, seguendo percorsi un po' folli. Però mi piace pensare che sia così.

Buon ascolto!

(La foto è presa dal web)

giovedì 29 febbraio 2024

Misteriosi DJ

Siamo noi a scegliere una musica o è lei a scegliere noi? Siamo noi a orientarci consapevolmente verso un brano, un compositore, uno stile, uno strumento?
O si tratta di un impulso che, dal profondo, ci guida
a scoprire melodie e ritmi già presenti nel segreto del nostro cuore?

Come si originano i gusti musicali? Li portiamo in noi dalla nascita o ci arrivano invece dal contatto col mondo esterno, con la cultura, l'educazione all'ascolto insieme magari all'esperienza di suonare uno strumento?

Probabilmente, sono vere entrambe le cose perchè certi gusti sono spesso frutto di un incontro tra la nostra interiorità e la realtà fuori di noi che - talora - va a svegliare inclinazioni che abbiamo già dentro come fossero scritte nel DNA e nelle quali poi ci riconosciamo.
Certo, il mondo esterno è anche fonte di condizionamenti, ma ad essi spesso la musica sfugge. Ha infatti
una vita tutta sua per cui si sedimenta in noi, s'intreccia alle nostre vicende e ci lavora l'anima a nostra insaputa per affiorare un giorno - anche a distanza di anni - come una splendida perla da un fondale marino.  
Non fosse così, non mi spiegherei il motivo di ciò che accade a me - e certo chissà a
quanti altri! - quando ogni mattina, al mio risveglio, mi parte dentro una musica che non ho neppure pensato, quasi esistesse in noi un misterioso disc jockey che sceglie liberamente i suoni da regalarci per la giornata. Ovvio che, se stai imparando un brano, è più facile che affiori quello, ma non è detto: i nostri DJ sono spesso sorprendenti e imprevedibili.

Bene. Tutto questo per dire che il mio da qualche mattina mi dà la sveglia con Domenico Scarlatti (1685 - 1757), ed è proprio al compositore napoletano che oggi mi piace tornare perchè le sue Sonate sono una continua scoperta. Del resto, ne ha scritte la bellezza di 555 e c'è solo l'imbarazzo della scelta!

Le sto riascoltando da qualche tempo e ne osservo ancor più che in passato non solo la piacevolezza, ma insieme la varietà, la fantasia e la capacità di toccare registri molto diversi: un cristallo dalle tante sfaccettature, insomma. Si va dal piglio gioioso e giocoso di una danza dal sapore popolaresco alla lentezza di una meditazione nostalgica; da irrefrenabili rincorse di note ricche di trilli e abbellimenti a malinconiche pause di riflessione dal clima di straordinaria modernità.
Più lo vado frequentando, più mi accorgo che - senza nulla togliere ai suoi
grandissimi contemporanei quali Bach, Vivaldi e Haendel - Scarlatti si distingue per un'originalità che, dal punto di vista tecnico, lo pone quasi in anticipo sui tempi. Ma parte di questa originalità credo derivi proprio dalla sua indole napoletana che - come scrivevo in passato - si riflette magnificamente nella musica, sia dove ha caratteri languidi e appassionati, sia dove ha un ritmo decisamente movimentato.

Così oggi vi propongo la "Sonata in Mi maggiore K.531" in due differenti interpretazioni e con due diversi strumenti che - a mio avviso - mettono in luce i molteplici aspetti del suo incanto.
È un brano vivace che sprizza allegria e fa pensare a una danza. Il suo tempo ternario di 6/8 mi ha ricordato in un primo momento una giga, per esempio quella dalla "Suite in sol minore" di Domenico Zipoli - altro contemporaneo di Scarlatti - che potete sentire qui.
Ma proseguendo nell'ascolto, in largo anticipo su quella più celebre di Rossini vi si coglie
anche il ritmo di una tarantella, soprattutto nelle terzine ripetute in modo sempre più acceso dove dalla tonalità maggiore si passa in minore.
E mi ha fatto pensare a quanto tale ritmo abbia espresso in pieno la vivacità dell'indole napoletana, rimanendo poi come elemento portante della sua tradizione musicale.

La prima clip audio, corredata anche dallo spartito, presenta il brano eseguito al clavicembalo e devo confessare che, mentre di solito trovo il suo timbro troppo secco e metallico, qui mi piace molto per la sua brillantezza fatta di suoni netti, precisi ed eleganti.
Diversissima la versione al pianoforte, non solo per l'uso di uno
strumento più morbido e duttile, ma soprattutto per la straordinaria interpretazione che ho trovato. Sì, lo so, l'atmosfera non è quella che si addice ad un pezzo barocco, ma - lasciatemelo dire - che interpretazione fantastica! Non per niente è Zhu Xiao-Mei, pianista cinese dalla storia molto tormentata - ne ho parlato anni fa qui - e divenuta celebre per le sue registrazioni bachiane.

Forse i puristi grideranno allo scandalo davanti allo slancio impetuoso con cui esegue questo Scarlatti, accentuando i contrasti tra forte e piano così come tra passaggi lenti e più veloci e allungando le pause con indicibile dolcezza.
Ma che meraviglia questo andamento turbinoso come un torrente in piena e insieme precisissimo: una
padronanza di note e di ritmi che la pianista - prima ancora che nelle mani - certo possiede nel cuore, nella sua singolare fusione di vita e di musica!

 Buon ascolto!

(Nella foto, presa dal web, "Danza napoletana: la Tarantella" di Thomas Uwins, 1830)

 

 

giovedì 22 febbraio 2024

Specchi d'acqua - 2

Philippe de Thaon : "Bestiario"





 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Faccio seguito qui al post dello scorso gennaio nel quale parlavo del mare nella celebre "Nascita di Venere" del Botticelli, per tornare indietro nel tempo ad osservare il modo in cui l'arte ha raffigurato le onde e il loro moto nei vari specchi d'acqua. Così, mi piace proporre una breve carrellata di immagini.

Le fonti sono mosaici, icone, miniature, antiche mappe e carte nautiche all'interno di testi di carattere profano o - più spesso - religioso, dall'epoca romana al Medioevo. Sono storie di viaggi a cominciare da quello di Marco Polo in Cina, o dai pellegrinaggi in Terra Santa, cronache di battaglie navali, talora illustrazioni della Divina Commedia; ma spesso anche narrazioni bibliche come la storia del diluvio o quella di Giona inghiottito dalla balena, o episodi evangelici come la tempesta sedata e la pesca miracolosa. Tra questi, particolare attenzione va al Battesimo di Cristo - e quindi al fiume Giordano - tema che ha avuto molta fortuna nel tempo e al quale dedicherò magari in futuro un articolo a parte.

Materiale vastissimo quindi, dal quale ho scelto però poche immagini tra quelle che mi hanno colpito per la loro originalità. Sono raffigurazioni spesso diverse tra loro anche per le differenti tecniche con cui sono state realizzate, ma tutte affascinanti a volte per i tentativi di realismo, altrove per iconografie più fantasiose e un po' elementari che - tuttavia - in certi casi assumono caratteri vagamente avveneristici e di sorprendente modernità.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo dimostra il mosaico riportato qui sopra, dettaglio della "Chiamata di Pietro e Andrea" e parte della decorazione musiva della basilica di Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna. Siamo nel VI secolo d.C., eppure quel delfino che solca le onde ricurve, insieme alle tessere che le rappresentano nelle loro varie sfumature di verde, è davvero di grande modernità. Non ne conoscessimo l'epoca, potremmo scambiarlo per un manufatto dei nostri giorni.

Un'immagine in parte differente troviamo invece qui a lato nel mare del "Viaggio dei Magi", mosaico della volta del Battistero di San Giovanni a Firenze, realizzato dal cosiddetto Maestro della Maddalena intorno alla fine del 1200.
Anche qui, lo specchio d'acqua è formato da una serie ripetuta di onde
ricurve ad indicarne il movimento, in mezzo alle quali possiamo scorgere diversi pesci. Tuttavia l'effetto è ben diverso.

Ma la rappresentazione del mare è legata anche ad altri aspetti.
Nel mondo antico e medioevale era infatti considerato uno spazio misterioso da
guardare con timore, mentre la sua graduale esplorazione ne darà poi immagini via via più concrete e meno legate alle paure, ai simboli o alla fantasia. Resta comunque per parecchio tempo il luogo del pericolo, popolato da pesci ma anche da mostri, come possiamo osservare nella prima foto grande in alto, tratta dal "Bestiario" di Philippe de Thaon (XII sec.), conservato alla Kongelige Bibliotek di Copenaghen.

Lì, vediamo un mare verde in cui le onde sono semplici righe ondulate inframmezzate da pesci; ma ai lati si ergono due enormi draghi alati, minacciosi e aggressivi, grandi quasi come l'imbarcazione.

Questa foto più piccola a lato, intitolata "Balena gigante", è invece parte della Miscellanea teologica di Peraldo (XIII sec.) conservata alla British Library di Londra. Ma ricorrono anche qui più o meno gli stessi caratteri, a cominciare dalla evidente sproporzione tra l'enorme pesce e la barca.

Un mare calmo dalle onde simili a righe orizzontali, ma sempre
popolato di pericoli è quello rappresentato dal mosaico pavimentale di Aquileia, capolavoro di arte paleocristiana del IV sec. d.C.
Qui, in un bellissimo e celebre dettaglio, è
raffigurato Giona mentre viene gettato nelle fauci non di una balena, ma di una sorta di serpente marino dalle spire sinuose. 

Un animale ben diverso, ma - almeno nella fantasia di chi lo ha dipinto - più simile a una balena se non altro per le sue dimensioni, è rappresentato invece nella miniatura sottostante della metà del sec.XV.
Di particolare interesse è qui il modo in cui sono state realizzate le onde: piccole montagnette aguzze e stilizzate, in cima a ciascuna delle quali è possibile scorgere una breve arricciatura a rappresentare la spuma. Tratti simili e veloci, per certi aspetti un po' elementari, ma per altri ancora una volta modernissimi.

Ma tale iconografia mi sembra ancora più chiara nella foto successiva: una miniatura del XV secolo, tratta dal "Factorum et dictorum memorabilium Libri IX" di Valerio Massimo, conservato presso la Bibliothèque de l'Arsenal a Parigi.
Il testo dello scrittore latino vissuto tra il I sec.
a.C. e il I sec.d.C., ha avuto infatti immensa fortuna e diffusione nel Medioevo, ad opera di numerosi amanuensi che lo hanno anche arricchito di splendide miniature proprio come quelle che vedete.

Qui il copista ha voluto rappresentare un mare agitato che risulta efficacissimo. Infatti, quelle onde alte e insieme larghe, disposte in successione alternata, a mio avviso rendono magnificamente l'idea del beccheggio della navicella, ancor più della miniatura precedente dove sono più fitte ma al tempo stesso molto schematiche.

Un mare agitato e fantasioso dunque, in un'iconografia che ricorre spesso, come nella miniatura sottostante che - all'interno di altri testi - raffigura onde e navi durante la battaglia della Meloria tra le antiche Repubbliche marinare di Pisa e Genova.

Infine, per passare alla musica, ho scelto di associare a queste immagini il celebre terzo movimento, "Allegretto", dalla "Sonata per pianoforte in re minore n.17 op.31" detta "La tempesta" di Ludwig van Beethoven ( 1770 - 1827).
Il brano,
nel tempo ternario di 3/8 in cui le terzine si susseguono con ritmo ora tranquillo, ora più affannoso quasi quella del compositore fosse una corsa, dà l'impressione di una sorta di moto perpetuo. Ma tale ritmo, creato dalla successione degli arpeggi, mi suggerisce anche il movimento ondeggiante di un'imbarcazione sul mare e, dove la musica va facendoci più tempestosa e cupa, l'appressarsi di un pericolo dal cielo o dal profondo.
Diciamo la verità: forse Beethoven nel concepire la Sonata non pensava affatto a questo, ma pare fosse stato
ispirato dalla visione di un cavallo al galoppo. Inoltre, il termine tempesta, nella sua ampiezza, potrebbe indicare anche un evento interiore, una particolare fase compositiva portatrice di novità, chissà mai!
A me però piace associare queste note ricche di una grande varietà di arpeggi,
all'altrettanto vario andar per mare: uno specchio d'acqua ora calmo, ora intensamente agitato, ora scuro come un abisso che nasconde dei pericoli, ora per qualche istante luminoso. Del resto, la tonalità del brano è un malinconico re minore con qualche breve apertura qua e là in maggiore, come quando da un cielo coperto di nuvole filtrano i riflessi del sole sulle onde e, per un attimo, tutto s'illumina.

Buon ascolto!

(Le foto sono prese dal web)