sabato 25 marzo 2017

Narcisi per Maria

Anche se, nei giorni scorsi, non ho festeggiato qui San Giuseppe come altri hanno fatto nei loro blog, in qualche modo vorrei tentare di ricordarlo oggi perché mi è venuta un'idea che mi sembra carina. 
E come spesso accade, le idee nascono da piccoli spunti quotidiani.

Tutto è successo all'inizio della settimana quando, entrata un attimo in una chiesetta della mia città, ho scoperto che - nonostante la festa di San Giuseppe fosse già passata - la sua statua era ancora lì, esposta a lato dell'altare. Mi sono avvicinata un po' distrattamente, ma la mia attenzione è stata attirata da un bellissimo mazzo di narcisi bianchi e gialli che troneggiava in un vaso davanti al Santo. Esattamente quelli che vedete e vi assicuro che la foto non rende bene il loro splendore.

Confesso che la mia prima reazione è stato un moto subitaneo di invidia!
San Giuseppe....ma sono una meraviglia, li voglio anch'io!!!
Ho pensato proprio così, e mentre ci guardavamo un attimo interdetti - io, San Giuseppe e i narcisi - ho anche allungato due dita per assicurarmi che non fossero finti: erano veri e freschissimi.
Ma non si può lasciar andare la bellezza senza fermarla, così, guardandomi intorno circospetta nel timore che entrasse qualcuno, per potermene appropriare in qualche modo....ho scattato la foto che vedete in alto. 
(Certo, una foto....cosa credevate???)
Il fatto è che per i narcisi nutro una passioncella di vecchia data, una di quelle passioni mai pienamente appagate, come quando l'oggetto del desiderio sfugge in continuazione. E la radice sta forse in un episodio della mia infanzia.

Avrò fatto la quinta elementare o giù di lì, e ogni tanto alle soglie della bella stagione, con le mie compagne di scuola si andava per viole nella prima campagna intorno alla città, tra prati e terrapieni che, finito l'inverno, si riempivano di fiori. C'era una costa particolarmente ricca di viole e ci si recava in gruppo, magari con qualche mamma che sorvegliava l'allegra brigata di amichette. E' bello raccogliere viole, ma ci vuole anche un po' di occhio per vederle e io in questo non brillavo; così, al ritorno, il mio mazzetto era sempre più misero degli altri.
Poi, un giorno, avevamo trovato un terrapieno oltre un fossatello, tutto fiorito di narcisi. Era uno spettacolo veder ondeggiare le loro corolle su quel piccolo pendio...Ecco, io volevo proprio quelli, il mio mazzetto stavolta sarebbe stato più bello e più ricco! Si trattava solo di allungare un piede oltre il fossato e i fiori sarebbero stati miei. Allora, seguendo le mie compagne mi ero sporta per coglierli. 
E chi - secondo voi - era finito nel fosso???...
Niente di grave per carità, ma ero scivolata nella melma fino alla caviglia, per la gioia delle mie scarpe e soprattutto dei miei calzettoni di cotone bianco traforati che - qualcuno se li ricorderà - si usavano una volta per le bambine.

Così, per un po' ho dovuto interrompere le relazioni diplomatiche con i narcisi. 
Ma il desiderio inquieto di trovarmi in campagna, su di un prato - meglio se lontano dai fossi - a coglierne a piene mani mi è rimasto dentro, come quei sogni in cui all'improvviso sei in mezzo a un paesaggio meraviglioso, ma poi il sogno cambia e non sai più come ritrovarlo.

Non so perchè, tutto questo mi è tornato in mente l'altra mattina in chiesa, insieme a un desiderio prepotente di avere quei fiori. 
Ma è stato quando ho scattato la foto che mi è venuta l'idea: e se la mettessi nel blog??? 
Fra pochi giorni - mi sono detta - ricorre la festa dell'Annunciazione che mi piace sempre ricordare con brani di musica adeguati all'evento, e questi fiori potrebbero diventare uno splendido omaggio alla Vergine da parte di San Giuseppe che li offrirebbe a Lei attraverso il mio spazio virtuale. 
A parole sembra un giro complicato, ma non più di tanto: io sarei solo un tramite e mi basta così, il Santo farebbe la sua bella figura e, in fondo, sarebbe una cosa carina....o no???
  
Giuseppe - mi perdoni la familiarità - in un primo tempo mi è sembrato un po' perplesso e attonito. Pensavo non gli tornasse il concetto di spazio virtuale, invece ha solo obiettato - almeno così mi è parso - che forse i narcisi non sono i fiori più adatti all'umiltà della sua sposa, e avrebbe visto meglio dei gigli o più ancora dei mughetti. Ma quando gli ho detto che per quelli eravamo decisamente fuori stagione non ha più posto difficoltà e si è trovato d'accordo. Insomma, affare fatto!
Del resto, Maria sa leggere di ogni cosa il più puro splendore e dalla sua nicchia in alto dietro l'altare, nonostante fosse rimasta in silenzio, mi è parsa contenta e di certo non ha pensato "Ma questa, per caso, è ammattita?", come forse starà facendo qualcuno di voi....

Bene, ora che conoscete il retroscena del post di oggi, sarà meglio passare alla musica. Naturalmente il brano per la festa dell'Annunciazione che celebra l'avvenimento più dirompente della storia, non può essere che un "Et incarnatus est" e precisamente quello tratto dal "Credo in mi minore RV 591" di Antonio Vivaldi (1678 - 1741).
E' un pezzo molto breve, profondo e insieme delicato, al quale la direzione di Carlo Maria Giulini con l'orchestra dei Berliner conferisce ulteriore dolcezza
Giocato sull'alternanza di tonalità minori e maggiori, ci conduce pacatamente all'incontro tra l'umanità di Maria e il mistero di Dio fatto vicino all'uomo e sceso a condividere la sua umanità.  
Una composizione pervasa di ombre che tuttavia si aprono a 0,53 dall'inizio dove il coro, cantando "et homo factus est", si carica di forte intensità e per un momento la musica sembra veramente illuminarsi e sorridere. Poi però, prosegue più tormentata e si conclude lentamente in minore, quasi a descrivere una parabola di vita che non sarà priva di sofferenza.
 
A me il brano sembra molto toccante e la foto coi narcisi mi pare faccia la sua figura. Spero che San Giuseppe sia contento.... 
Maria da parte sua rimane in silenzio, ma sono certa che custodisce un sorriso.  

Buon ascolto!

lunedì 20 marzo 2017

A somiglianza di un ruscello....

Quando - ai primi di questo mese - ho pubblicato il dolcissimo "Andante" dal "Concerto per pianoforte n.2 op.102" di Shostakovic, consultando alcune pagine sulla vita del compositore russo, ho scoperto che ha nutrito per Bach una profonda ammirazione che lo ha portato a scrivere i suoi "Ventiquattro Preludi e Fughe op.87" sulla falsariga del "Clavicembalo ben temperato".

L'occasione che ha ispirato a Shostakovic la creazione di tale opera è stato un viaggio a Lipsia nel 1950, in coincidenza con le celebrazioni per i 200 anni dalla morte del compositore tedesco.
Non è l'unico musicista che abbia preso ad esempio il modello bachiano per un lavoro analogo - prima di lui ricordiamo nientemeno che Chopin! - e del resto il "Clavicembalo ben temperato", divenuto canone del linguaggio musicale moderno, costituisce un monumento di rigore armonico e d'inventiva col quale, nel tempo, si sono confrontati svariati compositori. 

Nei "Ventiquattro Preludi e Fughe", tuttavia, per la disposizione dei brani Shostakovic ha seguito un criterio diverso. Mentre Bach aveva organizzato la sequenza delle tonalità maggiori e minori partendo dal do e avanzando lungo la scala per successivi semitoni (do - do diesis - re - re diesis e via dicendo), il compositore russo ha scelto invece di procedere secondo la logica del cosiddetto "circolo delle quinte" (do - sol - re - la - mi - si - fa diesis ). 
Nonostante tale differenza, qui Shostakovic testimonia comunque un vivo interesse per il contrappunto, insieme al riconoscimento della propria appartenenza ad una grande tradizione alla quale intende rendere omaggio.

Naturalmente, sono andata subito ad ascoltarmi questi brani col desiderio di ravvisare in essi i segni di uno stile già conosciuto, ma anche con la curiosità di cogliere elementi di novità nel modo in cui il compositore russo ha rielaborato gli spunti offerti dal multiforme testo bachiano.
Così ho scoperto che - ricchezza aggiunta a ricchezza - dalla rigorosa struttura del contrappunto di Bach, Shostakovic fa emergere la propria sorprendente creatività. Gioia, desolazione, maliconia, vivacità, intimità, slancio, e poi ritmi ora martellanti e accesi, ora più pacati: sembra davvero che il compositore faccia affiorare dalle note una miriade di sensazioni, andando a esplorare ogni possibilità tonale.

Il pezzo che ho scelto per voi oggi è la "Fuga n.7 in La maggiore", brano a tre voci, esattamente come la fuga corrispondente nel primo libro del "Clavicembalo ben temperato".
Si tratta di una creazione breve ma luminosissima, un "Allegretto" dall'esordio festoso nel quale l'inventiva dell'autore sembra sgorgare fresca e sempre nuova dalla successiva entrata delle singole voci e dalla ripetizione del tema fugato. Questo, infatti, ritorna irrefrenabile, coniugato in mille modi quasi a somiglianza dei mille rivoli di un ruscello e, visto che è stato chiamato in causa Bach, il paragone non mi sembra fuor di luogo.  
Il brano si snoda così in una continua, scorrevole alternanza di tonalità maggiore e minore, crescendo e diminuendo: talora giocoso, talaltra soffuso di lieve malinconia, ricco di passaggi ora più nettamente scanditi, ora più dolcemente melodiosi.
E sotto le dita di Keith Jarrett, il pianoforte assume a tratti sonorità di una potenza quasi orchestrale, mentre poi digrada pacato verso la conclusione dove riecheggia luminosa l'eco dell'ultimo accordo.

Buon ascolto!